27 Aprile 2024
Diocesi di Bergamo

I Cantieri di Betania

Il 16 gennaio e il 6 febbraio scorsi, in oratorio si sono svolti i ‘Cantieri di Betania’ nelle modalità a cui abbiamo già accennato nel numero precedente. Al primo incontro hanno partecipato 22 persone suddivise in due gruppi, coordinati da due facilitatrici. Mentre al secondo incontro hanno partecipato 19 persone. Di seguito riportiamo una sintesi di quanto emerso nei due incontri, scritta dalle due facilitatrici Liliana e Lidia. E’ la stessa sintesi che abbiamo inviato al gruppo diocesano di Coordinamento sinodale. Ed è il piccolo-grande contributo della nostra Parrocchia al cammino sinodale delle Chiese in Italia. 

 

CANTIERE 2: IL CANTIERE DELL’OSPITALITA’ E DELLA CASA

Gruppo 1 composto da 11 persone + 1 facilitatrice

Condivisione delle esperienze

Esperienza: dopo la Cresima non ho più frequentato fino all’Università, periodo in cui mi sentivo persa. Per sbaglio apro la porta di un’aula e un gruppo di dieci studenti stavano recitando le lodi che non conoscevo. Ho iniziato a frequentare questo gruppo, si studiava insieme in casa di altri, in particolare in casa di una famiglia dove prima di studiare si pregare. Quella famiglia aveva preso sul serio la dimensione Chiesa. Qui mi sono sentita a casa nella chiesa, qui ho sentito che la prima forma di accoglienza è verso i propri figli e ai figli degli altri.

Esperienza: ho fatto esperienze negli oratori di diverse parrocchie, anche dove non vivevo, trasferendomi nei periodi del CRE anche nella casa parrocchiale; la relazione con i ragazzi e le loro famiglie passava attraverso l’ospitalità per il momento del pranzo. Mi sono sentita a casa nella chiesa.

Ora si respira e si vede molto meno questa forma di accoglienza.

Esperienza: da quando sono adulto non frequento più l’oratorio e la chiesa: non mi sento a casa perché nella chiesa ci sono piccoli gruppi di potere che si creano spazi di autonomia per emergere.

Da ragazzo invece mi sentivo a casa quando il parroco organizzava dei momenti di ritiro spirituale per conoscersi meglio e non mettere in atto solo il fare.

Esperienza: la mia casa nella chiesa la cerco fuori dalla Parrocchia. Prima frequentavo molto la mia parrocchia e avevo tanti compiti ma ad un certo punto non mi ci sono più ritrovata perché era troppo statica, non innovativa, con le solite persone.

Esperienza: tutte le attività che propone la mia parrocchia mi fanno sentire a casa ma diventa un peso quando ci sono i contrasti, si formano i piccoli gruppetti e non c’è collaborazione

Esperienza: sono figlio della parrocchia e delle sue attività, la mia famiglia mi ha trasmesso il valore dell’ospitalità e dell’accoglienza. Mi sentivo a casa in seminario dove si respirava una chiesa viva e vivace, mi sento a casa nella chiesa quando mi ritrovo con i miei confratelli: sono incontri rigeneranti, non mi sento giudicato, è bello il senso di fraternità.

Esperienza: il mio input sono stati i miei nonni che parlavano dell’oratorio e della chiesa come fossero casa loro.

Esperienza: sento la Parrocchia e la Chiesa come parte di me, mi viene naturale, le sento come una estensione della mia casa. Mi fanno sentire a casa le relazioni con le persone, le condivisioni dei vissuti, delle esperienze, delle tante vite nello stesso territorio. Sento la Parrocchia come uno spazio che appartiene a tutti e danno un senso di familiarità, perché tutti li usano.

Esperienza: da ragazza facevo la scout ma non frequentavo la parrocchia, mi sono allontanata e poi riavvicinata grazie ai miei figli. Altre coppie mi hanno accolta con il sorriso e con interesse nei nostri confronti. Mi sento a casa quando il valore della chiesa passa dalle relazioni. Sono un peso gli obblighi (andare a messa tutte le domeniche e non quando me la sento e voglio)

Esperienza: mi sono sentita a casa nella chiesa in missione perché sono stata accolta in modo puro e mi sono sentita a casa grazie ai miei vicini, una coppia di nonni, che hanno incarnato l’ideale della vita cristiana: apertura alla vita, non giudicare e non arroccarsi sulle proprie posizioni. Ora è arrivato il momento di mettere in pratica quello che ho visto.

Esperienza: non ho mai frequentato fino a vent’anni, poi il curato mi ha coinvolto per portare i ragazzi al campeggio, mi sono sposato e ho iniziato a fare volontariato.

 

Cosa mi interpella profondamente di quanto ho ascoltato dagli altri?

In generale ha colpito molto l’ascolto delle esperienze dalle quali si è evidenziato quanto è vitale l’attenzione verso l’altro: l’altro come individuo nella sua specificità, nelle piccole cose e nei piccoli gesti. L’accoglienza per quello che sei e non per ciò che fai;

L’importanza delle relazioni che diventano aiuto e sostegno anche quando si vive e si sente la solitudine. Le relazioni che si aprono all’altro danno la possibilità di comunicare quello che realmente siamo sono stimolo, sono aiuto reciproco, fanno fraternità.

Quante occasioni ci perdiamo quando non accogliamo! Un sorriso è accoglienza, un saluto spontaneo è accoglienza….

 

Cosa sento importante dire a noi stessi, alla Chiesa intera come contributo sinodale rispetto a questo tema?

Dalle diverse risposte emerge quanto è importante ritornare al concetto di uniformità: la Chiesa deve dare un messaggio univoco, non contrastante e disomogeneo. Cosa vuol dire nel 2023 incontrare Gesù? Come rinnovare l’annuncio del Vangelo? Bisogna rinnovare questo incontro alla luce del cambiamento sociale di oggi, troppo veloce e disorientante.

Si esprime la necessità di imparare a vedere e riscoprire il senso religioso nelle cose perché tutti abbiamo bisogno di spiritualità.

Tornare ad ascoltare la gente e il suo vissuto, mostrare umiltà nell’ascolto di ciò che sta succedendo, entrare nel vissuto delle persone e prestare attenzione alla loro coscienza: cosa sente oggi l’uomo? Cosa provano oggi una madre e un padre nell’educare i propri figli?

La Chiesa deve imparare ad essere attenta all’altro non limitandosi ad organizzare ma istituendo prima di tutto un senso di familiarità. La Parrocchia come famiglia di famiglie.

Le famiglie devono diventare più protagoniste ma la Chiesa fa sempre più fatica ad essere attrattiva, le persone attraversano il problema di non comprendere quali sono gli spazi di accoglienza e di incontro che la Chiesa offre. La Chiesa dovrebbe essere una Chiesa di esperienze perché è mentre si fa che si cogli il significato; una Chiesa meno dogmatica e più esperienziale. La Chiesa, in questo modo, potrebbe riscoprire la sua vera dimensione e non “nascondersi” dietro ai dogmi perché così è più comodo.

 

Gruppo 2 composto da 11 persone + 1 facilitatrice

Condivisione di esperienze

Esperienza: non mi sono mai sentita accolta, forse per il mio carattere che non accetta imposizioni. Faccio parte di un gruppo di auto mutuo aiuto a persone che hanno problemi: lutto, depressione, che assistono malati. In questo gruppo sono stata accolta per quello che ero. Nel gruppo si scambiano esperienze rispettandosi. Da questo è nato il desiderio di accogliere gli altri. Ho letto un libro che parla di un metodo di tre incontri con persone malate per aiutarle a fare un testamento morale, facendole riflettere sui passaggi della vita, aiutandole a chiedersi cosa vogliono lasciare a coloro che rimangono. Dopo questi passaggi si aiutano a scrivere un piccolo libro da dare a chi resta. Essere vicini a quelli che ci devono lasciare è un bisogno che bisognerebbe accogliere ma che in genere non è accolto.

Esperienza: Sono nonno e spesso devo accogliere i nipotini per aiutarli. Quando alla scuola materna vado per fare qualche lavoro, i bambini mi fanno grandi saluti e sorrisi che mi fanno sentire accolto.

Esperienza: Già questa serata per me è accoglienza, mi sento accolto all’oratorio. Ci sono persone che sanno creare clima. Percepisco clima di accoglienza nelle persone che fanno volontariato.

Sono stato in visita al Sermig, dove ogni giorno si presentano persone con bisogni immediati e ho visto persone che sanno accogliere.

Faccio fatica a pensare alla Chiesa come luogo di accoglienza. Per me accoglienza è la comunità in cui vivo, sono le persone che mi fanno sentire accolto.

Quando ero ancora un bambino a casa nostra è venuta ad aiutare la mia famiglia perché mio papà era ammalato, credevo di dover essere io a far sentire lei accolta a casa nostra e cercavo di essere vicino per non farla sentire sola. Ora capisco che era lei che aveva accolto noi.

Esperienza: mi sono sentita a casa nella mia nuova comunità quando ho vissuto alcune esperienze nel gruppo del coro, nel gruppo genitori mi sono sentita in sintonia con gli altri, anche se in modo inconsapevole c’era voglia di stare insieme. Questo mi fa sentire a casa.

Esperienza: la comunità e le persone mi fanno sentire a casa. Sono venuta in Italia dall’Ucraina molti anni fa. Dopo alcuni mesi, conoscevo pochissime persone. Avevo anche paura ad andare a Messa, poi una volta all’uscita dalla chiesa una persona mi ha avvicinata e abbiamo cominciato a parlare.

Una persona che mi fa fatto sentire molto a casa è stato il sacrista, mi trattava come una nipote e una domenica mi ha mandato a leggere, io non volevo ma lui ha insistito così tanto che l’ho fatto. Per me quella è stata una svolta: fare un servizio ti fa sentire la comunità come tua.

Esperienza: quando sono venuta ad abitare in questo paese mi sono sentita persa, impaurita: casa nuova, incinta del primo figlio, non conoscevo nessuno… poi con i figli ho incominciato a fare esperienze, conoscere persone e oggi posso dire che qui è la mia casa.

Esperienza: i miei genitori sono di fuori e a parte il catechismo sentivo la parrocchia estranea. L’ho sentita come una casa quando ho incominciato a frequentare il gruppo adolescenti.

Ho incontrato poche persone preparate a fare gli animatori, ci sono persone che accolgono altre no.

Esperienza: mi sento a casa nell’associazione di cui faccio parte che mi ha aiutato a crescere, preghiamo, faccio catechesi e aiuto agli altri, ho imparato a saper ascoltare le loro storie, a dare una mano, un abbraccio, andare a fare mercatini mi ha aiutato. Ho ricevuto tanto. Queste piccole cose aiutano a sentirsi chiesa.

Sentivo la mia parrocchia lontano, poi ho iniziato a dare il mio aiuto per preparare in chiesa gli addobbi per le celebrazioni e questo tempo mi ha aiutato a trovare momenti di intimità e riflessione e mi ha fatto incontrare persone che mi hanno accolto.

 

Cosa mi interpella profondamente di quanto ho ascoltato dagli altri?”

In generale il tema del SERVIZIO è quello che ha maggiormente sollecitato i partecipanti.

In particolare, ha colpito il giovane che fa servizio in chiesa, il suo avvicinamento alla comunità facendo questo ha evidenziato l’intimità con Dio che prova e la serenità che sente quando esce dalla Messa.

A volte basta davvero poco: fare un servizio, scambiare due parole sono sufficienti per aiutare qualcuno a sentirsi accolto.

Fare un servizio, vedere la gioia dei bambini ti fa sentire accolto.

L’accoglienza del bambino che voleva far sentire a casa la zia.

Ho provato invidia perché io non mi sono mai sentita accolta in parrocchia.

Ci deve essere qualcuno che ti deve far conoscere questa realtà, altrimenti resti fuori. La tua vita deve incrociare persone accoglienti.

Quello che serve per farti sentire a casa sono le persone e tu che devi lasciarti sollecitare. Anche i luoghi hanno importanza se vissuti dalle persone.

L’accoglienza si fa insieme.

Cosa sento importante dire a noi stessi, alla Chiesa intera come contributo sinodale rispetto a questo tema?

Bisogna allargare il coinvolgimento anche a quelle persone che si pensano più refrattarie e incontrare le persone che hanno meno occasioni liberandosi dai pregiudizi non facendo mai mancare occasioni ed esperienze di incontro.

La Chiesa deve essere più aperta, ospitale a livello di pensiero, più vicina alla realtà delle persone di qualsiasi età, in particolare occuparsi di più della vecchiaia, della malattia, della morte.

 

CANTIERE 4: IL CANTIERE DELL’AUTORITA’ E DELLA CONDIVISIONE DELLA RESPONSABILITA’

Gruppo 1 composto da 9 persone + 1 facilitatrice

Questo cantiere è stato ritenuto difficile da tutti i partecipanti e i racconti delle esperienze sono stati narrati a ruota libera, sintetizzando le tre domande e arricchendoli di considerazioni; il bisogno è stato più quello di confrontarsi, scambiare opinioni ed esprimere il proprio pensiero.

Punto di partenza è stato il brano di Vangelo facendo la considerazione che non c’è un atteggiamento giusto o sbagliato negli atteggiamenti di Marta e Maria, le loro azioni sono complementari e devono coesistere.

Condivisione di esperienze

Esperienza: nel CPP ho sempre sperimentato decisioni calate dall’alto, non ho mai avuto modo di agire i miei talenti dando consigli e suggerimenti e più volte sono stato zittito, così ho iniziato ad ubbidire.

Esperienza: il mio servizio, come padre giuseppino, è a disposizione di diverse parrocchie ma in una parrocchia il parroco non ha voluto il mio aiuto per portare la comunione agli ammalati. Invece è stata positiva la mia esperienza in Spagna, 30 anni fa, dove il contributo dei laici era forte. La predica della domenica veniva preparata in settimana dal prete e dai laici la cui partecipazione era quindi attiva. Qui invece c’è “il parroco faccio tutto io” e oltre alla disponibilità all’ascolto (confessioni) al servizio nella celebrazione della messa e a offrire spazi non si può fare altro. Noi Giuseppini siamo cercati quando c’è bisogno.

Esperienza: nel CPP ho percepito iniziative calate dall’alto, già decise e solo verbalizzate; non ho vissuto il senso della collegialità perché è mancato il prendere insieme le decisioni, questo è un limite anche se capisco che il Parroco a sua volta viene investito da responsabilità.

Esperienza: mi sono sempre sentita più Marta e a volte ho preferito non decidere. Colpe e responsabilità sono sia dei preti che dei laici. La condivisione delle responsabilità l’ho vissuta in missione in Perù dove il prete che aveva dieci parrocchie anche molto distanti tra loro, lo ha portato in modo naturale al coinvolgimento dei laici assegnando loro compiti “da prete” (visita ai malati, distribuire la comunione). Il presupposto è la necessità.

Esperienza: questo è un tema complesso che presuppone più tempo. È sempre più complicato vivere le responsabilità. Di fronte alla molteplicità di proposte e idee si rischia di essere disorientati o non decidere di non rispondere alle richieste. Ciò che salva è riuscire a vivere un rapporto sincero e stretto che aiuta ad accettare scelte che magari non si condividono. Vent’anni fa avevo più obiezioni rispetto all’autorità poi la Chiesa ha impostato la dottrina sociale. Anche noi laici dobbiamo metterci nell’ottica di conoscere. Vent’anni fa c’era più organicità, un’unica visione oggi invece le visioni sono più variegate e risulta più difficile trovare unanimità quando ci sono problemi economici, organizzativi…

Esperienza: vedo sempre frammentazione tra la Chiesa e i laici che a loro volta si dividono in gruppetti

Esperienza: ho fatto esperienza, con mio marito, come direttori laici in diversi oratori, già vent’anni fa era una necessità ma anche una tradizione. Penso che la Chiesa debba cambiare perché è ancora troppo conservatrice e maschilista. Se ci ricordiamo che la base di tutto è l’Eucarestia e il Vangelo, se li mettiamo al centro allora ci disperdiamo meno e collaboriamo meglio. Tra laici e preti ci deve essere fiducia ma l’ultima decisione deve essere del Parroco perché ha uno sguardo sulla parrocchia più a 360° mentre il laico ha un sapere limitato e guarda solo al suo piccolo.

 

Cosa sento importante dire a noi stessi, alla Chiesa intera come contributo sinodale rispetto a questo tema?

Il pensiero condiviso è che la Chiesa viene vista come clero invece tutti siamo Chiesa, la gerarchia siamo tutti e il laico non deve sentirsi inferiore al clero. Tutti siamo comunità e dobbiamo valorizzare questo nella logica della corresponsabilità riconoscendo comunque l’autorità del parroco. Ciascuno è responsabile in base al ruolo e alle funzioni che svolge.

La Chiesa deve dare e riconoscere responsabilità anche alle donne, perché la donna non può fare la diaconessa? Nelle parrocchie invece le donne sono sempre a servizio (come Marta)

Il laico deve essere inserito nella vita sociale della Chiesa: ad esempio, può preparare la predica insieme al parroco? Applicare le modalità come in missione anche dove non c’è necessità

Fare più incontri di relazione umana (come questo dei cantieri) e non necessariamente di catechesi, che ci siano più gruppi chiamati a confrontarsi e abituarsi a un cantiere continuo di collaborazione e condivisione.

La Chiesa deve cambiare il linguaggio, scendere di tre gradini: deve usare parole comuni e comprensibili a tutti, parole semplici che arrivino a tutti, dal bambino all’anziano. Le lettere del Vescovo sono difficili, le encicliche, le riflessioni/spiegazioni non sempre così immediate da comprendere (per es. quella di questo cantiere). Abbassare il livello del linguaggio.

 

Gruppo 2 composto da 10 persone (di cui 1 in video conferenza) + 1 facilitatrice

Condivisione di esperienze

Esperienza: facevo il sacrista e quel giorno si doveva celebrare un matrimonio e ho avuto un incidente in moto. Ho avvisato il don della mia impossibilità di essere presente e mi ha rammaricato molto il suo atteggiamento poco disponibile alla comprensione del mio problema, non gli interessava nulla dell’incidente, esigeva che io fossi presente. Poi ho cercato di superare questo momento cercando il positivo,

Esperienza: ero una ragazzina timida e avevo difficoltà a integrarmi. Poi una catechista mi ha introdotto nella catechesi. Questa esperienza mi ha fatto crescere.

Esperienza: non mi sentivo a mio agio nella comunità parrocchiale e ho cercato altre esperienze. Sono entrata in un gruppo di Charles de Foucauld, laici che vivono nel quotidiano, questo mi ha affascinato. Ci sono anche dei preti, ma non sono la figura centrale. C’è condivisione perché siamo noi che decidiamo di fare senza che nessuno ci dica cosa dobbiamo fare.

Esperienza: ho poche esperienze. Ho sempre trovato difficoltà con l’autorità e spesso ho tenuto per me le mie idee per evitare discussioni. Anche nei laici, a volte ho incontrato chiusura, altre volte ho notato apertura ad accogliere nuove idee.

Esperienza: anch’io ho poca esperienza di rapporti con l’autorità. L’ho vissuta nell’oratorio in un clima di condivisione con il clero mantenendo chiaro il ruolo. Quello del clero è il ruolo centrale ma deve condividere e dare il messaggio che le attività sono della comunità.

È bravo se sa mantenere il suo ruolo facendo sempre partecipi i laici, dando fiducia e responsabilità.

Esperienza: spesse volte mi sono scontrata con il parroco, che aveva un carattere molto forte, e mi sono allontanata. Poi piano, piano ci siamo ritrovati, sono cresciuta e sono cambiata.

Mi sono sentita schiacciata da questo don.

Esperienza: non ho esperienze negative, il mio vissuto è positivo. A me, che sono straniera, è stato affidato un gruppo di bambini per il catechismo. Il parroco si è fidato di me, per la mancanza di catechisti, ha deciso di affidarmi questo gruppo. Per me era una cosa fuori dal mondo, ma mi è stata proposta.

Poi ho vissuto un’esperienza molto negativa con un gruppo di ragazzi molto difficili, ogni anno cambiavano catechista. Ho chiesto aiuto al parroco ma purtroppo lui mi ha lasciata da sola a gestire questo gruppo.

Esperienza: ho iniziato a vivere i consigli parrocchiali dopo che sono diventato prete. Non avevo nessuna esperienza di consigli, nella mia parrocchia di origine mancava spirito di condivisione, il parroco comandava.

Da prete mi sono reso conto dell’importanza dell’ascolto. Sono uscito dal seminario ignorante sulla realtà economica e di come andasse gestita. Con il mio primo parroco è stata un’esperienza positiva. Nei consigli si imparano molte cose ascoltando.

Non devi trattare le persone come soldatini, ma lasciarti istruire dalle persone. L’autorità è al servizio della comunione nella comunità e della missione che tu hai. Gli studi e la pratica nelle parrocchie mi hanno aiutato a cogliere questo. L’autorevolezza la devi mostrare sul campo.

L’autorità è in crisi perché non mostra credibilità, spesso è ritenuta tale per partito preso.

 

Che cosa mi interpella di quello che ho ascoltato?

– Mi ha colpito l’esperienza drammatica che ha fatto la catechista con un gruppo difficile dove c’era molta maleducazione e mi ha sorpreso molto che chi esce dal seminario sia così sprovveduto.

– Non ho mai pensato alle difficoltà che un giovane prete deve affrontare quando arriva in una parrocchia, ci sono tante cose che deve imparare. Siamo noi che diamo centralità alle persone. Il prete deve mantenere il suo ruolo, se arriva un parroco che vuol essere vicino alle persone è una fortuna.

– Riconoscere la crisi dell’autorità è già un passo avanti. Delegare è giusto ma non bisogna abbandonare le persone.

 

– Quando mi tocca la difficoltà di gestire un gruppo potrebbe essere uno stimolo per cercare di capire come gestire questa situazione. L’oratorio dovrebbe essere il luogo per affrontare questi problemi.

– Abbiamo l’idea che i preti sappiano fare tutto, che abbiano tutte le risposte. A volte hanno mania di onnipotenza e non riconoscono che anche loro hanno difficoltà. Il discernimento nasce ascoltando le persone.

– Bisogna imparare ad ascoltare.

– Mi sento stimolato dall’atteggiamento di chi ha cercato il positivo e lo ha aiutato a superare il conflitto accettando i limiti dell’altra persona.

 

Cosa sento importante dire a noi stessi, alla Chiesa intera come contributo sinodale rispetto a questo tema?

Nella parrocchia il parroco deve essere una persona autorevole, non autoritario e i laici persone che collaborano non persone sottomesse.

Bisogna attrezzare gli operai del Vangelo con tutti gli strumenti adatti, oltre alla teologia servono anche le conoscenze umane: psicologia, didattica, mezzi di comunicazione sociale, ecc.

Tornare alla Chiesa come corpo dove ogni parte porta il suo contributo prezioso, l’autorità torni a essere al servizio del corpo. Il parroco non si deve sostituire ai laici.

Il sacerdote non si deve vergognare dei propri limiti, non deve pretendere di voler tenere tutto sotto controllo e di gestire tutto ma deve dare più fiducia e affidarsi ai laici per quei servizi nei quali sono competenti (es. la gestione dei beni economici)

I preti oggi devono essere più missionari, devono incontrare le persone nel loro ambiente di vita, porta a porta, far conoscere di più la Parola.

Occorre favorire una formazione dei sacerdoti più aperta alla realtà di oggi.

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